venerdì 9 gennaio 2009

Invettiva

Rileggo la vecchia invettiva di Simone Battig: ho la visione dell’editoriato italiano, pieno di agenti, critici, giornalisti, editor ed editori indegni ed esterofili, ma soprattutto di scrittori bifronti, occupati non tanto in libri propri quanto in lavori e affari collaterali (blog, dibattiti, festival, interviste, reading, riviste, scuole di scrittura, difesa di meschine posizioni di potere). E ho la visione di Battig, autore quasi estinto, panda, proteggendo, Alberto Fortis della letteratura.

11 commenti:

Anonimo ha detto...

Il discorso di Battig mescola, in dosi bizzarre, enorme presunzione vittimismo patetico. IMHO, mi pare una pessima combinazione.

Andrea Tullio Canobbio ha detto...

Mah, dietro strati di quello che dici tu (presunzione ecc.) si intravede il solito problema: lo scrittore deve stare in casa a scrivere o uscire e sfruttare tutte le opportunità fornite dalla società dello spettacolo? Nel secondo caso, i libri possono risentirne in negativo (si rischia di perdere tempo e scrivere al di sotto dei propri mezzi), nel primo caso, possono uscir fuori libri migliori. P. es. Camillo Sbarbaro, che tra l’altro non credeva alla letteratura come pronto intervento sulla realtà, non è mai uscito di casa e le sue prose guarda caso sembrano immuni allo scorrere del tempo.

Andrea Tullio Canobbio ha detto...

Mi piacerebbe capire quanto la posizione di Battig sia diffusa tra gli scrittori nati negli anni Settanta. Vorrei capire se è un fatto generazionale. Chi tra i settantenni preferisce la via dello scrittore eremita? Anche F. Venerandi (1970) sul blog del Maltese (giugno 2006) scriveva: “guarda, io onestamente credo che lo scrittore debba stare a scrivere e fare la sua figura da scrittore: se lo scrittore si mette ad utilizzare altri media, a fare reading, andare in televisione diventa una persona che fa spettacolo attraverso la sua scrittura”.
Certo, quella eremitica è una posizione ortodossa, ma tiene al riparo da discorsi micragnosi tipo “Noi scrittori facciamo un sacco di cose, qualcuno deve pagarci!” (cfr. il dibattito di questi giorni su taluni “bloggoni”).

Anonimo ha detto...

Secondo me è un falso problema. Emily Dickinson non usciva mai di casa, e scriveva cose delicate e sublimi. Francesco Guicciardini viveva in mezzo ai travagli della guerra e della diplomazia, e scriveva cose magnifiche. Entrambi invecchiano benissimo, e continuano, a buon diritto, ad essere dei caposaldi.

Andrea Tullio Canobbio ha detto...

Uhm, sì, mi sa che hai ragione. Porterei a esempio anche Primo Levi, che non ha mai sacrificato un’ora sola della sua professione alla letteratura. Non è detto che solo agli eremiti tocchi di raggiungere grandi risultati con la scrittura.

Anonimo ha detto...

Il dibattito di questi giorni, come già detto a Franz, è ridicolo. Punta i fari su tutto quello che fa uno scrittore a latere dello scrivere e per cui vorrebbe essere pagato. Era ovvio dieci anni fa quando già scrivevo cose del genere che sarebbe finita così, non potendo il sistema mantenere tutti.
E' cecità dare la colpa solo agli editori, parliamo un po' degli scrittori e dei loro comportamenti assurdi degli ultimi anni, disposti a scrivere tutto, a non essere responsabili di nessuna parola, pronti a censurare qualsiasi idea che non sia in linea con il loro gruppuscolo etc etc...io non credo nella figura dello scrittore eremita come mi si attribuisce, credo nella figura dello scrittore che è scrittore. Io so bene, per me, cosa significa. Mi pare che altri abbiano le idee un po' confuse, e mi pare inaccettabile subire prediche da gente come Franz che per anni ha cercato di campare proprio "contro" gente che si comportava come me. Gente che faceva nomi e cognomi di comportamenti scorretti e veniva cesurato ed esiliato....ora tutti si indignano per la condizione dello scrittore, gli stessi che l'hanno creata e fomentata...mah...

Anonimo ha detto...

Scusate. Ovviamente sono Simone Battig.
Ah..per rispondere al Malesi di turno vorrei chiarire, definitivamente, che tutti parlano ancora della mia invettiva solo perché era un'invettiva. Nessuno parla di altri discorsi, comunque ritrovabili in rete, con altri toni e idee più organiche. nessuno parla dei libri. L'invettiva è stato il mio ultimo pezzo sull'editoria, dopo anni di scritti censurati o impossibili da pubblicare.
Quell'invettiva, Malesi, non è presuntuosa, o se lo è dovresti chiedere a Spike Lee perché lo è, essendo il calco di una sua invettiva.
Io credo che chi scrive si DEBBA considerare il più grande scrittore del mondo nel momento in cui decide di pubblicare, per trovare il coraggio di onfrontarsi, altrimenti già da l'Odissea in poi potremmo smettere di scrivere, e invece scriviamo perché ogni libro ha il suo tempo e ognuno di noi ha un tempo diverso per leggere. Questo io credo.
Eremita e presuntuoso è chi non ascolta le idee degli altri (o non riesce proprio a capirle) e continua indefesso per la sua strada argomentando senza cognizione di causa o per tornaconto del momento, pratica molto in voga tra gli scrittori nostrani, navigati e appena usciti dall'uovo o nemmeno quello ancora. Io sono uno scrittore, uso le antenne, e sono sulla strada di tutti, dietro l'angolo. E basta.
Grazie ad Andrea per aver ospitato la mia reazione, dopo dodici anni lo posso dire, un po' stizzita rispetto ai soliti luoghi comuni detti sul mio conto in vari commenti da blog.

Andrea Tullio Canobbio ha detto...

Sei Simone Battig? Grazie dell’intervento. Ammetto che “scrittore eremita” è un’etichetta scentrata. Che tu ci creda o no, volevo indicare proprio quella posizione di “scrittore scrittore” nella quale credi, ma evidentemente non ci sono riuscito.
Quanto al “dibattito”, cosa vuoi che ti dica? Provo imbarazzo e disgusto. Non parliamone più.

Andrea Tullio Canobbio ha detto...

Eri davvero Simone Battig. Ti saluto. Mi ricordavo dell’invettiva perché era un pezzo celebre, ma cercherò gli altri tuoi discorsi “ritrovabili in Rete”.

Andrea Tullio Canobbio ha detto...

Mi rendo conto che la mia posizione rispetto al “dibattito” è ambigua: dico che non ne voglio parlare, ma ne parlo. Perseverando nella mia ambiguità, aggiungo in coda a questa discussione che gli scrittori che vogliono essere pagati per attività collaterali dovrebbero riflettere sulle opinioni di Mordo Nahum rispetto al lavoro creativo. Mordo Nahum è un personaggio de La tregua di Primo Levi. Naturalmente, non è un personaggio positivo, e la sua posizione non coincide con quella di Levi. Ma coincide con la mia (nemmeno io sono un personaggio positivo):

Quanto alle attività più elevate dello spirito, al lavoro creativo, non tardai a comprendere che il greco era diviso. Si trattava di giudizi delicati, da dare caso per caso: lecito ad esempio perseguire il successo in sé, anche spacciando falsa pittura o sottoletteratura, o comunque nuocendo al prossimo; riprovevole ostinarsi a inseguire un ideale non redditizio; peccaminoso ritirarsi dal mondo in contemplazione; lecita invece, anzi commendevole, la via di chi si dedichi a meditare e ad acquistare saggezza, purché non ritenga di dover ricevere gratis il proprio pane dal consorzio civile: anche la saggezza è una merce, e può e deve essere scambiata.

Anonimo ha detto...

Andrea, per me i dibattiti e gli scambi di opinione sono grasso che cola. Ma quello che ha innescato Franz non è un dibattito, è l'espressione di una volontà di rendere "sistema" tutto il mercimonio di "cagate" (scusa il termine) che gira intorno al mondo dei libri, a cominciare dal fatto che tutti parlano dei peli del naso di Tizio e nessuno magari parla del libro che ha scritto Tizio, e così via dicendo. Si compra narrativa come si comprano i libri di Vespa ormai, e non mi sembra sia un bene. Per questo io ho detto la mia e mi sono tirato fuori dal dibattito, perché è come discutere con Berlusconi di Giustizia. E poi c'è la solita puzza sotto il naso verso gli autori italiani in altra parte del dibattito, come se all'estero scrivessero chissà che...un'altra favola prodotta dalla nostra subcultura. E' semplicemente ridicolo che siamo l'unico paese al mondo a importare l'80% dei libri di narrativa dall'estero e poi pubblichiamo i libri italiani della sorella di tizio, del cameriere di caio etc etc e tanti bravi "scrittori" fanno fatica a trovare un editore.
Per me essere scrittore, un vero scrittore, riassume già ogni possibile significato dei dibattiti che imperversano. Essere scrittore vuol dire anche prendersi dei rischi, essere liberi, fare la fame oppure guadagnare dai propri libri pubblicati. E questo è tutto.